salta alla navigazione

L’ economia, una scienza senz’ anima?

27, Giugno 2009 Inviato da Giovanni Ruggia in : libri e arte , trackback

Ultimanente gli economisti non godono di buona reputazione. Ma non è detto che non si possa imparare qualcosa dalla loro scienza.

1. Alcuni dati di storia economica per iniziare:
– non c’è stata grande crescita economica prima dell’ anno 1000.
– l’ Occidente registrò una leggera crescita dal 1000 a circa 1800. Il reddito pro capite del resto del mondo restò stabile anche se ci furono alcuni miglioramenti nella qualità di vita (p.es. aumento della speranza di vita e introduzione di nuovi beni)
– dopo il 1800 ci fu un’ accelerazione della crecita economica in Occidente ma nessuna accelerazione altrove, nemmeno in Cina che era stata leader nel Medioevo e era ancora alla pari con l’ Occidente nel XVIII secolo
– l’ accelerazione in Occidente è continuata fino ai nostri giorni, con alcuni su e giù
– alcuni paesi non occidentali hanno raggiunto un’ accelerazione della crescita negli ultimi anni (Giappone e, ultimamente anche la Cina).
Il punto di svolta della crescita economica è quindi verso il 1800. Ciò esclude il Rinascimento, le grandi scoperte geografiche, la mentalità protestante (Weber). L’ unico fatto culturale potrebbe essere l’ attitudine dell’ Illuminismo e la relativa crescita di conoscenze scientifiche.
La crescita europea supera la Cina verosimilmente prima dell’ espansione coloniale, soprattutto per quanto riguarda prodotti di consumo non relativi alla mera accessibilità al cibo (migliori abitazioni, vestiti, utensili e suppellettili domestici, libri, igiene personale). Una chiara relazione statistica esiste con l’ urbanizzazione, l’ ammontare di scambi commerciali e l’ innovazione nel campo della manifattura e l’ aumento di produttività.

2. Importanti per la crescita sono il capitale umano (inteso come accumulo di capacità e di efficacia) e l’ innovazione. In questo contesto hanno importanza le dimensioni, la localizzazione e la storia. Le capacità umane devono poter interagire con altre capacità e quindi concentrarsi in luoghi dove ce ne sono altre e dove le istituzioni facilitino gli scambi (titoli di proprietà, anche intellettuale, centri universitari, ricerca e sviluppo delle imprese), da qui l’ importanza delle città per i contatti umani diretti.

3. Le cause della povertà sono molteplici: corruzione, mancanza di infrastrutture adeguate, istituzioni inefficienti, mancanza di prospettive per i cittadini (nessuno investe nell’ educazione superiore dei figli se mancano opportunità di impiego superiore, ci si accontenta del poco che dà un lavoro non specializzato). Ogni paese è diverso e le politiche devono basarsi su analisi di dettaglio, non ci sono ricette valide per tutti.
In linea di massima il libero mercato aiuta negli scambi internazionali e quindi andrebbero eliminati sussidi eccessivi alla produzione (come l’ agricoltura in Europa) ma, d’ altra parte, la libera circolazione dei capitali a corto termine si è rivelata nefasta per le economie povere.

4. Come misurare il benessere soggettivo? Lo strumento più utilizzato è il prodotto nazionale lordo (GDP) che però ha diversi punti deboli, misura solo quanto si può quantificare in soldi. Quindi non misura il prodotto del lavoro domestico, che in molti paesi sottosviluppati è molto importante; non misura nemmeno l’ impoverimento delle risorse non rinnovabili e non misura il progresso tecnologico (dalle candele alle lampadine elettriche, p.es., o i progressi nella capacità di calcolo dei computer). Tuttavia le alternative proposte non si sono rivelate migliori. Quindi il miglior compromesso è di misurare comunque il benessere delle nazioni con il GDP, tenendo conto a parte degli aspetti non monetizzabili (ambiente, qualità di vita).
Nei paesi poveri c’è una chiara relazione statistica tra aumento del GDP e miglioramento del benessere dei cittadini. Questa relazione diminuisce nei paesi ricchi. Al di là di una certa soglia non c’è più aumento di benessere soggettivo all’ aumentare del GDP. Il benessere è multidimensionale e non lo si può quantificare in modo semplice, dipende anche da molti fattori soggettivi, in particolare dal paragone con i propri concittadini (colleghi, vicini): eh, l’ invidia!

5. L’ essere umano non è guidato dalla razionalità (o quantomeno solo una piccola minoranza lo è) ma dalle passioni e dall’ emotività. Eppure il modello classico dell’ economia di mercato delle scelte razionali degli individui basate sulla simmetria delle informazioni (pure questa una premessa arbitraria) funziona tremendamente bene, a parte alcuni campi come la finanza.

6. Il mercato dimostra di funzionare anche nell’ allocazione di un prezzo alle emissioni inquinanti, ai permessi di disboscamento e altre risorse non rinnovabili, e al prezzo delle informazioni, anche se esiste un’ asimmetria di conoscenze, mentre è più problematico per decisioni di tipo politico e educativo. La qualità politica e il rispetto per le procedure di decisione vanno tenute in debita considerazione.

7. Le persone seguono regole anche senza essere in grado di articolarle e formularle, ma queste regole possono essere scoperte studiando il comportamento e si possono formalizzare matematicamente con le tecniche della dinamica non lineare o con simulazioni al computer, grazie alle potenti capacità dei computer attuali. Un certo ordine nasce spesso spontaneamente dalle azioni della moltitudine umana, non dalla pianificazione. Anche se questo ordine non è sempre e necessariamente ideale, cercare di sostituirlo con qualcosa di pianificato si è rivelato peggio.
Un interessante parallelo esiste tra l’ economia, lo studio della dinamica dei mercati (crescita, contrazione, innovazione) e l’ evoluzione biologica. Entrambe si occupano degli esiti aggregati risultanti dal comportamento di individui egoisti. Si possono utilizzare tecniche di modellizzazione analoghe come la teoria dei giochi, tenendo presente che nelle società umane, a differenza degli organismi biologici, si possono ereditare anche caratteristiche acquisite, e poi scambiarle e metterle in discussione. A questo proposito non ci sono ancora buone teorie.

8. Le reti di relazioni sono molto utili alla circolazione di informazioni e favoriscono la fiducia ma networks troppo stretti e chiusi (relazioni familiari, villaggi, tradizioni, associazioni, mafie) possono rivelarsi negativi per lo sviluppo; il sostegno che danno può facilmente trasformarsi in sfruttamento, e impediscono il pieno sviluppo delle proprie potenzialità soprattutto agli elementi più deboli di un network (persone in basso alla scala sociale, donne, caste inferiori). Gli scambi in un mercato possono essere anonimi ma l’ anonimato ha i suoi lati positivi. Il mercato può proteggere meglio gli individui dallo sfruttamento che non relazioni più personali. Riuscire a determinare il giusto equilibrio tra reti di sostegno personali e istituzioni pubbliche impersonali è uno dei problemi centrali delle scienze sociali.

9. Alcuni ambiti dove la ricerca in economia ha potuto dare utili suggerimenti al miglioramento delle politiche:
– Investimenti e allocazione dei prezzi nei trasporti (p.es analisi delle frequenze nei trasporti pubblici e “road pricing”);
– Vendita all’ asta di diritti su risorse scarse (minerarie, frequenze radio), tenendo ben presenti i rischi di manipolazione da parte di scaltri partecipanti;
– politiche monetarie: esse devono servire a mantenere stabile e bassa l’ inflazione sul medio termine e non a tentare di espandere l’ economia, perchè ciò si rivela controproducente;
– politiche ambientali: p.es. applicazione dei principi del mercato nell’ allocare diritti di emissione di CO2;
– politiche a favore della competizione;
– definizione di contratti in situazioni di informazione imperfetta (assicurazioni, outsourcing, schemi salariali, servizi pubblici).

Diane Coyle. The soulful science: What economists really do and why it matters. Princeton university press. Princeton 2007

Commenti»

nessun commento ancora - vuoi essere il primo?