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Etica pratica nel villaggio globale

20, Gennaio 2014 Inviato da admin in : credenze e valori , trackback

In Europa si usa porre l’ inizio della riflessione razionale sui principi etici nell’ Antica Grecia, in seguito essa fu integrata da apporti dal credo cristiano e più tardi dal pensiero rinascimentale e illuminista. Importante fu anche l’ influsso del mondo islamico nel preservare il pensiero filosofico classico. Dall’ insegnamento della filosofia al liceo possediamo tutti alcune conoscenze di base. Siamo tuttavia sicuri che, soprattutto nell’ odierna società multiculturale, queste conoscenze rappresentino una base comune? È vero che il pensiero filosofico classico fu assunto anche dalla filosofia islamica e raggiunse l’ India ma i migranti degli ultimi decenni hanno familiarità con quest’ eredità culturale?

La società attuale è più complessa di quella antica. Inoltre abbiamo accumulato un grande corpus di conoscenze che, tuttavia, sono distribuite in modo squilibrato e ciò comporta inevitabilmente un’ asimmetria di potere. Scienziati, tecnici, medici, professionisti sono molto più performanti dei loro colleghi antichi e portano di conseguenza una maggiore responsabilità.

Se c’è una cosa che la ricerca filosofica e scientifica ci ha insegnato negli ultimi secoli è che l’ etica non si può dedurre dalla logica (anche il male può essere razionale); e la storia ci insegna che nemmeno le verità rivelate ci sono state d’ aiuto. Eppure gli umani sono riusciti a sopravvivere e prosperare per decine, se non centinaia di migliaia di anni.

Se non possiamo derivare l’ etica – cioè regole di comportamento tra esseri umani in relazione ai mezzi, agli obiettivi e ai moventi – dall’ alto, dobbiamo e possiamo derivarla dal basso. Sappiamo oggi dalla biologia che non esiste alcuna dicotomia tra funzioni alte e basse del nostro comportamento. L’ opposizione corpo–mente è un concetto fuorviante. Il conscio e l’ inconscio esplicano entrambi certe funzioni in modo differente.

Le scienze sociali hanno avuto a lungo un tabù con le radici biologiche del comportamento umano. Il cervello umano era considerato una “tabula rasa” che poteva fare qualsiasi cosa a seconda dell’ ambiente culturale in cui era stato allevato. L’ essenziale unità dell’ umanità, indipendentemente da razza, genere, età, orientamento sessuale e concezioni religiose e filosofiche, giustificava l’ omissione di qualsiasi variabilità biologica, di qualsiasi accenno a un determinismo biologico nelle differenze sociali e intellettuali tra gli esseri umani. Le devastazioni dell’ eugenismo, del razzismo e del nazionalismo legate al colonialismo e all’ imperialismo, giustificate in termini scientifici, erano ben presenti. Oggi sappiamo che queste argomentazioni non erano scientifiche ma ideologiche.

La mente umana è il prodotto di un processo automatico, freddo e distaccato, la selezione naturale per pressione ambientale. Le emozioni che proviamo, quando interagiamo col nostro prossimo, sono un dispositivo, evolutosi per selezione naturale, che ci segnala che sono in gioco faccende importanti. Ciascuno di noi, per il suo carattere innato, per l’ ambiente culturale in cui è cresciuto, per l’ educazione che ha ricevuto, tende a recepire i segnali che gli invia la coscienza in modo diverso, a provare orgoglio o vergogna in modo differente, a valutare differentemente il vero e il giusto.

Non possiamo quindi derivare semplicemente il nostro comportamento da principi di base ma possiamo rivolgerci alle interazioni con il nostro prossimo, all’ empatia verso le sofferenze e le necessità degli altri nelle quali possiamo riconoscere le nostre stesse, in una continua negoziazione tra il nostro ego e il nostro prossimo, cercando di mantenere un equilibrio tra fini e mezzi. È necessario un compromesso tra diverse esigenze. Abbiamo bisogno di un’ etica intersoggettiva. I principi del giusto e dell’ ingiusto diventano oggetto di consenso che deve essere raggiunto mediante lo scambio di argomentazioni razionali.

Tuttavia sappiamo che gli esseri umani non sono mossi dalla ragione ma dalla passione. Possiamo cercare di incanalare le passioni utilizzando le emozioni e i sentimenti comuni a tutti gli esseri umani: gli esseri umani nascono, vivono e muoiono in una società, senza società non sarebbero nemmeno umani. La felicità umana non può esistere senza la presenza di altri esseri umani, la cui felicità è premessa della nostra. È una continua ricerca di equilibrio tra esigenze contradditorie: autonomia, uguaglianza, libertà personale e interessi generali. Un vero sentiero in cresta.

Quindi si tratta di imparare a sentire le emozioni nel nostro prossimo. E il modo più naturale di farlo è di utilizzare il nostro corpo, imparando a sintonizzare i nostri sensi, affinando i talenti naturali che ciascuno di noi possiede nell‘interpretare il linguaggio del corpo, uno strumento universale per superare le barriere linguistiche e culturali per mettersi nei panni degli altri.

Mettersi nei panni degli altri non significa solo empatia e capacità di collaborare ma anche, in ugual misura, diffidenza, prudenza e antagonismo. Il nostro prossimo può essere non solo un collaboratore e un alleato ma anche un avversario o un rivale. Gli umani non sono di natura né buoni nè cattivi. Come si comportano dipende dalle circostanze, dalle esperienze personali, dalle opportunità. Senza contare che la capacità empatica delle masse si può manipolare facilmente, come dimostra la storia. Quindi più delle belle parole servono accorgimenti tecnici, sociali e legali per equilibrare i rapporti di forza, mitigare le disuguaglianze, incentivare le buone tendenze e ostacolare le cattive.

L’ evoluzione delle società umane in seguito alla crescita demografica e alle migrazioni, dalle prime bande di foraggiatori primitivi agli stati organizzati attuali, mostra una continua evoluzione in etica, parallela ai cambiamenti intervenuti per quanto riguarda l’ accesso a partner di riproduzione e i mezzi di produzione. Lo sviluppo di comunità più grandi aumenta la sicurezza ma nello stesso tempo diminuisce le opportunità personali, porta una maggiore solidarietà all’ interno di ogni gruppo ma un parallelo aumento dell’ avversione nei confronti di estranei, stranieri, diversi, e della violenza tra i gruppi. In questo processo le religioni hanno giocato un ruolo di collante in molte civiltà. Oggi siamo arrivati al limite di questa evoluzione: in un villaggio globale non ci sono più altri dai quali distinguersi. Bisogna rifondare un’ etica globale, senza per ciò ripartire da zero. Possiamo provare a ricuperare dalle vecchie etiche gli aspetti che ci possono servire e scaricarne altri rivelatisi controproducenti. La storia delle diverse civiltà umane è un grande database di esperimenti naturali dal quale attingere, ricordando che è responsabilità degli umani, qui e ora, trovare soluzioni politiche eque alla convivenza sociale: lo stato non deve imporre una determinata visione del mondo.

E, come accennavo sopra, ciascuno di noi può fare la propria parte personale, cercando di entrare in sintonia con il proprio corpo. Se siamo un ammasso di cellule con complicate reazioni neurofisiologiche, queste reazioni ci permettono di entrare in contatto con altri ammassi cellulari attraverso gli organi di senso. Dobbiamo sforzarci di migliorare le nostre capacità di sentire, educando e allenando il corpo, attraverso il sesso, il lavoro, l’arte.

L’ attività sessuale mette in diretto contatto la nostra mente con il mondo fisico.

La nostra mente possiede un collegamento privilegiato con le mani (e col corpo); fare con le mani e l’ attività fisica del corpo provocano piacere e benessere in e per se stessi, danno automaticamente senso a ciò che si fa, ci si immerge e si interagisce col mondo naturale, c’è un’ etica e una dignità naturale nel lavoro manuale e nell’ attività fisica.

La partecipazione attiva nelle attività artistiche (teatro, danza, musica, pittura, scultura, letteratura, giardinaggio, modellismo) sottolinea l’ importanza di un fatto, di una cosa o di un’ idea che giustifica impegno, sforzi e partecipazione emotiva straordinari nel porla in atto.

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