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Riuscirà l’ umanità a sopravvivere al XXI secolo?

24, Giugno 2007 Inviato da Giovanni Ruggia in : attualità , trackback

Il successo della nostra specie sta creando grossi problemi a tutto l’ ecosistema planetario. Le caratteristiche stesse che hanno fatto il nostro successo potrebbero trasformarsi nello strumento dell’ estinzione nostra e di buona parte della biosfera. Come possiamo affrontare razionalmente la questione?
Questa domanda sta diventando oltremodo urgente. Purtroppo in questo campo troppo spesso le credenze prevalgono sulla conoscenza. Sono diffusi atteggiamenti irrazionali che spaziano da un acritico ritorno alla natura, come se la nostra biologia e il nostro comportamento non fossero naturali per la nostra specie, a una cieca fiducia nella tecnologia, di cui si dimenticano spesso i limiti, a una religiosa fede nel futuro dell’ umanità quale fine della creazione..
È necessaria una scettica verifica, che utilizzi le conoscenze scientifiche accertate per illuminare il nostro agire.
Due potrebbero essere le modalità di indagine: uno, analizzare la situazione attuale dell’ umanità alla luce di quanto la scienza ci può dire in merito; due, vagliare gli esiti di diverse civiltà del passato e confrontarli con civiltà moderne per estrarne alcuni insegnamenti.

Che cosa ci dice la scienza
Il nostro dominio sulla natura costa molto in termini di degrado dell’ ambiente naturale. Il clima terrestre si sta alterando, veleni di ogni sorta si stanno disseminando dappertutto e i rischi di epidemie aumentano. Anche se a corto e medio termine in alcuni luoghi e per una parte della popolazione possono apparire dei benefici, questi processi presentano gravi rischi a lungo termine. La conseguenza di tutto ciò è che le basi ecologiche per la vita umana stanno assottigliandosi.
Il problema più grosso è rappresentato dalle dimensioni, ormai insostenibili, della popolazione umana. Anche se il tasso di crescita è in diminuzione ovunque, la popolazione terrestre continua ad aumentare. La popolazione ottimale per il pianeta terra, tenendo conto di un tenore di vita di tipo occidentale, con le stesse libertà e opportunità (vita culturale nelle città, massa critica per il progresso culturale, sufficienti spazi liberi per la biodiversità, spazi per lo svago, ecc.) sarebbe di 2 miliardi: siamo già più di tre volte tanto.
Molti predicano la crescita della popolazione quale motore della crescita economica e del progresso dell’ umanità ma ciò è falso: l’ umanità ha progredito per millenni senza alcuna sensibile crescita economica e ora ci stiamo pericolosamente avvicinando al collasso delle risorse.
L’ invecchiamento della popolazione, paventato da molti, è un problema molto minore dell’ eccesso di popolazione: gli anziani dei paesi industrializzati, oggi, stanno meglio dei loro predecessori, sia economicamente che in termini di salute; in una popolazione anziana il tasso di criminalità è minore e ci sono meno incentivi al terrorismo che in una popolazione giovane priva di prospettive di lavoro e di crearsi una propria famiglia, alla quale dare una vita dignitosa.
Anche la religione gioca spesso un ruolo negativo predicando il predominio dell’ uomo sul creato. Soprattutto in materia di controllo delle nascite i fondamentalisti cristiani, la chiesa cattolica e gli islamisti sono su posizioni in crasso contrasto con una politica di sviluppo sostenibile.
La misura politica più efficace per favorire la denatalità si è rivelata la promozione della situazione femminile, attraverso il miglioramento delle opportunità di lavoro salariato. Ulteriori misure efficaci, in sinergia con questa, sono una prolungata scolarizzazione dei giovani d’ ambo i sessi, il livellamento delle differenze sociali e la lotta alla povertà.

Oltre all’ esplosione demografica c’è stata un’ esplosione dei consumi. I cittadini dei paesi ricchi stanno consumando ben oltre quanto è necessario a una vita dignitosa, in ciò imitati dalle classi benestanti dei paesi emergenti, che ormai rappresentano quasi la metà dei consumatori mondiali. Ciò provoca un carico eccessivo sull’ ambiente dei paesi emergenti, con disastri ambientali (deforestamento, inquinamento, utilizzo non rinnovabile di risorse) che impoveriscono ancora di più i paesi poveri.
I conflitti per il controllo delle risorse strategiche mondiali, la povertà e l’ iniqua distribuzione della ricchezza crescono e alimentano l’ insicurezza e il terrorismo. Povertà e sovrappopolazione formano un diabolico circolo vizioso, che alimenta la violenza e il terrorismo globali.
Molti fattori culturali concorrono alla negligenza nei confronti dell’ ambiente. Il puro e semplice esercizio del potere e l’ ostentazione dell’ accumulo di ricchezza promuovono una cultura basata sull’ ignoranza dei fatti ambientali: cittadini ignoranti sono consumatori più docili.
Bisogna saper distinguere tra consumi che servono a soddisfare dei bisogni e consumi eccessivi. Le nazioni ricche devono essere coscienti del loro ruolo di esempio per le classi ricche dei paesi emergenti. Nel calcolo di costi e benefici bisogna tener conto anche dell’ ambiente. Una delle modalità è l’ imposizione di tasse sui consumi (consumi di lusso, consumo di prodotti non rinnovabili): per esempio una tassa sul CO2, la cui produzione rappresenta una misura approssimativa del consumo energetico.

La tecnologia è un’ arma a doppio taglio. Ci permette di vivere e sopravvivere in numeri ben più alti, con un confort ben maggiore ma essa comporta dei rischi. Ogni nuova tecnologia va attentamente valutata anche per quanto riguarda costi e benefici ambientali e vanno monitorati effetti collaterali imprevisti o imprevedibili.
Una delle più grandi sfide dell’ umanità odierna è far fronte in modo sostenibile a un crescente consumo di energia. La miglior strategia è migliorare l’ efficienza del consumo energetico, promuovendo trasporti pubblici più performanti, ricavando energia da fonti rinnovabili e utilizzando sistemi di produzione e distribuzione non complessi e non strettamente integrati, che sono meno soggetti a grossi black-out, meno esposti ad atti di sabotaggio terroristico e non arrischiano di dare il via a escalations e allargamenti incontrollati.

Siamo chiamati ad abbandonare la mentalità da cow-boy, abituato agli spazi illimitati, che sarà magari romantico ma anche violento e senza scrupoli, per familiarizzarci con l’ idea che abbiamo delle barriere fisiche e dei limiti ambientali, come un astronauta in un vascello spaziale.
Bisogna abituarsi a misurare il successo non in termini di produzione e consumo ma di tipo, quantità, qualità e complessità del capitale totale, nel quale sono inclusi non solo beni materiali ma anche lo stato degli individui presenti nel sistema, le conoscenze, l’ ambiente naturale.
Sta nascendo, è vero, un movimento di consumatori che vuole consumi più sostenibili. Anche all’ interno dei movimenti religiosi negli ultimi tempi alcuni reclamano maggiore responsabilità nel mantenere ciò che il creatore ci ha dato. Ma non possiamo dimenticare che la nostra mente ragiona a breve termine e non sempre vede i vantaggi a lungo termine di fronte a sacrifici a breve.
Servono strumenti politici:
– Delegare una parte del potere – soprattutto quello di prendere decisioni impopolari- a organi tecnici. Il parlamento terrebbe solo la competenza politica di dare indirizzi di carattere generale sugli obiettivi da raggiungere e di esercitare la funzione di controllo.
– Limitare il potere assoluto del popolo sovrano, contrapponendogli i diritti dei cittadini e dell’ ambiente, che vanno rispettati per il bene di tutti.
– Riformare pure il diritto societario: l’ impresa non deve rispondere solo nei confronti degli azionisti ma anche dei lavoratori, dei clienti, della collettività.
Sembrano ricette di difficile applicazione ma sono condivise anche da altri spiriti critici in altri contesti e perfettamente compatibili con il liberalismo e un’ economia di mercato. Le questioni importanti e che necessitano di conoscenze tecniche specifiche e di politiche di lungo termine vanno sottratte al controllo diretto degli organismi democratici e affidate a organi non eletti che ricevono un mandato preciso e un controllo da parte di commissioni parlamentari, con periodi di nomina che scavalchino i periodi di legislatura. Questo già succede per la politica monetaria e per il commercio internazionale; dovrebbe essere proposto per la politica fiscale, la politica sanitaria, le infrastrutture dei trasporti.
È inoltre necessaria trasparenza sui rapporti e i contrappesi tra le varie componenti. Le aziende devono saper armonizzare intelligentemente gli interessi di diversi “stakeholders”, vale a dire dei partners naturali e quotidiani dell’ impresa, e non limitarsi a fare gli interessi degli “shareholders”, gli azionisti. Un buon management deve porsi come obiettivo l’ equilibrio tra i benefici per tutti gli “stakeholders”: azionisti, clienti, fornitori, dipendenti, ma anche tessuto sociale dell’ impresa (città, quartiere, nazione) senza favorire troppo gli uni o gli altri, mantenendo così le capacità di esistenza di un’ azienda a lungo termine.

Che cosa ci insegnano le esperienze delle civiltà passate
Mettere a confronto diverse società passate e presenti potrebbe permettere di estrarre indicazioni su come l’ umanità, oggi una società interconnessa globale su un pianeta limitato e isolato, potrebbe sopravvivere e, forse, prosperare sfruttando le risorse in modo sostenibile.
Lo sfruttamento delle risorse naturali al di là delle capacità dell’ ecosistema di rinnovarsi, comporta gravi conseguenze: esaurimento delle risorse minerarie, accumulo di rifiuti tossici, diminuzione delle riserve d’ acqua, modifiche dello stile di vita.
L’ analisi dei casi dell’ Isola di Pasqua,degli Amerindi Anasazi, dei Maya e dei Vichinghi della Groenlandia mostra come ciò ha portato al collasso delle società, siano esse state isolate (Pasqua, Pitcairn, Henderson, Anasazi) o a contatto con altre (Maya, Vichinghi), illetterate (Pasqua, Anasazi) o letterate (Maya, Vichinghi).
Un fattore importante, forse il più importante, è rappresentato dall’ eccessivo deforestamento che provoca erosione del suolo, perdità di umidità, riduzione delle precipitazioni anche in assenza di concomitanti fattori climatici globali. Una costante in questi collassi è che all’ aumentare della popolazione e al contemporaneo ridursi delle risorse, appare un degrado sociale, una perdita di coesione sociale per la lotta tra le classi e all’ interno delle classi per risorse sempre più scarse, con conseguenti rivolte, guerre, eccidi, ecc.
Cambiamenti climatici globali possono avere un ruolo ma questo succede proprio quando le società già vivono al limite delle risorse ecologiche disponibili e non hanno più risorse materiali e culturali per adattarsi ai cambiamenti.
Un altro fattore importante è l’ incapacità culturale e sociale di introdurre comportamenti meglio adeguati al cambiamento ecologico. Ma sono proprio le caratteristiche culturali di una società che le hanno permesso in primis di restare unita e prosperare magari per secoli e millenni. Il dilemma quindi è quali usi e costumi tenere e quali abbandonare nella nuova situazione.
Sotto questo aspetto è molto interessante studiare gli esempi positivi, in cui i problemi che si andavano formando sono stati riconosciuti e le società hanno saputo apportare le necessarie modifiche dello stile di vita.
Due sono le principali modalità di intervento sociale riscontrate: una dal basso, possibile in società sufficientemente piccole, dove tutti possono vedere gli effetti del proprio agire e di quello dei vicini e quindi riescono a seguire regole comuni di sfruttamento sostenibile delle risorse, l’ altra dall’ alto, quando un’ autorità centrale esercita un potere sufficiente per imporre misure restrittive e implementare incentivi.
La realtà odierna, con l’ interconnettività delle economie, la globalizzazione, il molto maggiore impatto ecologico di ogni umano vivente rispetto al passato, il rapido ricupero del ritardo nel livello di vita di molti paesi del Terzo Mondo, pone enormi problemi e provoca un’ accelerazione esponenziale dell’ impatto ambientale di tutta l’ umanità sul pianeta. Parallelamente anche le conoscenze scientifiche, la coscienza dei problemi, le soluzioni tecnologiche sono più efficaci. È difficile oggi prevedere se prevarrà il degrado che porterà al collasso planetario oppure le misure di controllo che porterebbero allo sviluppo sostenibile. Il XXI secolo sarà probabilmente cruciale nella storia dell’ umanità. L’ esempio di alcuni paesi potrebbe darci qualche indicazione sulla piega che sta prendendo la situazione.
Sull’ isola di Hispaniola si possono vedere gli effetti contrastanti del comportamento umano uno accanto all’ altro. Haiti è praticamente prossima al collasso. Nella Repubblica Dominicana, invece, una serie di coincidenze ha portato alla conservazione di un importante rivestimento forestale e a una miglior prospettiva di sviluppo sostenibile se si riusciranno a mantenere le misure protezionistiche.
La Cina mostra all’ estremo, vista la vastità del territorio e della popolazione, nel bene e nel male, gli effetti della crescita esponenziale dell’ impatto umano sull’ ambiente. La presenza di un governo centralizzato autoritario ha reso possibili madornali errori (industrializzazione senza scrupoli, giganteschi progetti idrici) ma nello stesso tempo ha permesso di implementare molto velocemente correttivi di grande effetto positivo (controllo delle nascite).
L’ Australia invece è emblematica di una società con alti consumi in un ambiente molto fragile (suoli poveri, poche foreste, siccità, salinizzazione). Alcune caratteristiche culturali importate dall’ Europa, continente con un ambiente molto più robusto ecologicamente, andranno abbandonate mentre dovranno essere introdotte con decisione misure per fermare il deforestamento, la salinizzazione dei suoli coltivabili, i danni arrecati dalla flora e dalla fauna importate, se si vuole rovesciare il trend negativo. Il dibattito politico è in corso, alcuni progetti mostrano segnali positivi. È in atto una corsa esponenziale sia delle tendenze verso il collasso che dello sviluppo sostenibile. Il prossimo secolo vedrà a chi andrà la vittoria.

In ogni caso, dall’ esame delle esperienze delle società umane possiamo trarre qualche conclusione. Quattro sono le ragioni principali di insuccesso:
– incapacità di anticipare il problema, come p.es l’ introduzione di conigli e volpi in Australia;
– incapacità di riconoscerlo, perchè impercettibile, come l’ effetto serra antropogenico confuso nelle fluttuazioni climatiche naturali, o perchè molto lento nell’ apparire, come la diminuzione del manto forestale o la riduzione della coltre nevosa sulle montagne.
– incapacità di affrontarlo una volta che è evidente, com’ è il caso spesso quando risorse comuni si assottigliando sempre più velocemente, se mancano incentivi a un utilizzo sostenibile o un’ autorità forte che faccia rispettare le regole nell’ interesse generale; o se ci sono conflitti di interesse tra elite e società in generale; oppure atteggiamenti irrazionali dovuti a fattori culturali o valori tradizionali che non si vogliono o si possono abbandonare;
– ma anche quando il problema viene riconosciuto e si è pronti ad affrontarlo è sempre possibile fare errori oppure è il problema stesso ad essere intrattabile.

Per concludere
Teniamo presente che le industrie, siano esse estrattive, di trasformazione, forestali o agroalimentari non sono imprese benevole ma hanno un legittimo fine di lucro. D’ altra parte molti esempi mostrano che la pressione dei governi e dell’ opinione pubblica ha il potere di modificare le pratiche di business.
In ultima analisi è facoltà dei consumatori scegliere prodotti ottenuti con pratiche estrattive a basso impatto ecologico o sostenibile. Le imprese a scopo di lucro hanno interesse a mantenere ed estendere le loro fette di mercato in un ambiente in cui i consumatori sono disposti a scegliere prodotti ottenuti con procedure ecologicamente sostenibili certificati da organismi indipendenti.
Il capitalismo ha mostrato di saper produrre ricchezza e innovazione ma presenta due grossi problemi, esso approfondisce il fossato tra ricchi e poveri e aggrava i problemi ambientali. Oggi, con la globalizzazione, questi problemi stanno mettendo a repentaglio la sopravvivenza stessa dell’ intero ecosistema planetario. Finora le alternative al capitalismo e al libero mercato si sono rivelate fallimentari. Dobbiamo adattare e migliorare il sistema che abbiamo. Dobbiamo accordare ai beni comuni (aria, acqua, foreste, diritti di pesca, di inquinamento, ecc.) personalità giuridica e affidarli a fondazioni tenute, per legge e per statuto, a gestirli in modo oculato per il bene comune e la posterità. In questo modo l’ ambiente verrebbe ad acquisire un prezzo e potrebbe competere ad armi pari in un’ economia di mercato.
Tirando le somme, possiamo affermare che siamo vittime del nostro stesso successo e ci troviamo di fronte al difficile dilemma di modificare proprio quelle nostre caratteristiche che ci hanno permesso finora di prosperare.
Tre sono i grandi temi sui quali si gioca il nostro futuro, demografia, consumi e tecnologia, e abbiamo a disposizione due livelli di azione: a livello di gruppo, con politiche di contenimento della demografia e di incentivazione dei consumi sostenibili; a livello individuale, con il potere di consumatori nell’ indirizzare le scelte delle imprese di produzione.
Il compito è difficile ma non abbiamo ancora imboccato il viale dell’ estinzione. Quanto esposto sopra è un contributo, limitato e parziale, al processo di chiarificazione, cercando di utilizzare le conoscenze accumulate dalla scienza e traendo insegnamento dall’ analisi critica delle esperienze dei nostri predecessori e concorrenti.

Referenze
. Anne & Paul Ehrlich. One with Nineveh, politics, consumption and the human future. Island Press, 2004
. Fareed Zakaria. Democrazia senza libertà. Rizzoli, Milano 2003
. Claude Bébéar (intervista a). Uccideranno il capitalismo. Bompiani, Milano 2004
. Jared Diamond. Collapse, how societies choose to fail and survive. Allen Lane, London 2005.
. P. es. il Forest Stewardship Council per il legno (www.fscus.org) oppure il Marine Stewardship Council per i prodotti ittici (www.msc.org)
. Peter Barnes. Capitalism 3.0: a guide to reclaiming the commons. Berret-Koehler. San Francisco 2006

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